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Nel piccolo paese di Yahidne, nell’Oblast’ di Chernihiv, estremo nord dell’Ucraina, stretto nel confine tra Russia e Bielorussia, i russi arrivarono facilmente con i loro carri armati.

Imprigionarono 360 persone in una vecchia scuola. Per 27 giorni, dal 3 al 30 marzo 2022, sono stati segregati al buio bambini, anziani, uomini e donne di ogni età. Avevano solo un po’ di luce artificiale con una piccola torcia quando bisognava distribuire la razione di cibo giornaliera, mezzo bicchiere di plastica di cibo per ciascuno. Con quel po’ di batteria della torcia che restava, i bambini disegnavano sui muri. Gli adulti facevano calendari.

Undici sono morti e i cadaveri restavano lì, in mezzo ai giocattoli; una decina di persone sono impazzite.

I cadaveri erano stesi sulle porte che diventavano barelle mortuarie. Per combattere l’umidità, gli adulti hanno inventato un modo per appendere i panni alla parete e farli asciugare.

Una sola volta diedero ai prigionieri un lungo periodo di luce accesa: quando portarono una copia della Pravda di Mosca in cui era scritto che l’Ucraina era capitolata e che la guerra era finita con l’annessione dell’intero paese alla Russia. Ma quelle persone non credettero a quel giornale.

Sul calendario scritto su una porta c’è il giorno 31 marzo, con una scritta accanto “Sono arrivati i nostri”.

Ivan, uno dei sopravvissuti, ci ha fatto da Virgilio in questo inferno della memoria.

Chi non vede questo, chi non legge i giorni terribili che questo popolo ha vissuto e sta vivendo, non può capire perché chiedevano e chiedono la chiusura dei cieli e la parola “resistenza”.