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I bambini e i ragazzi tra pochi giorni torneranno a scuola, dopo un’estate torrida. Alcuni avranno potuto refrigerarsi ed altri no, ma difficilmente qualcuno di loro potrà essersi messo al riparo dagli echi di guerre in corso. Per molti “millennials” occidentali, quella del 2024 è stata probabilmente la prima estate in cui sono stati sottoposti al racconto incessante e tragico di due conflitti armati, l’Ucraina e il Medio Oriente, eppure la novità potrebbe essere un’altra: che le guerre non siano comunque entrate nell’immaginario collettivo, che siano rimaste incastrate nel novero delle migliaia di notizie orfane. Informazioni che vengono costantemente “sospese” in un tempo presente, che non costruiscono nella coscienza dei lettori alcuna relazione con un passato ed un futuro che li riguarda. “Girare pagina” era la metafora più emblematica nel ‘900, oggi “l’abbandono” accade con lo scroll sullo schermo.

Con l’arrivo di settembre e la ripresa dei programmi scolastici ministeriali, corriamo il rischio che neanche la scuola possa fare qualcosa affinché le due guerre non restino ancorate nell’iperuranio degli smartphone.

I dibattiti sono diventati difficili a farsi perché il corpo docente viene tacciato facilmente di offrire una “interpretazione di parte”. Ha iniziato prima Israele o prima Hamas ad aggredire? Colpa di Putin o della Nato? La scuola come istituzione super partes ha ragionevolmente paura di intervenire su argomenti di attualità e non è raro che gli studenti debbano decidere da soli, con un mezzo colpo di falangetta, se stare sulle notizie o abbandonarle per il reel successivo.

Un modo per superare questo pericoloso guado ci sarebbe, e don Milani lo conosceva bene, si chiama “Geografia”. La geografia mette in moto la conoscenza fisica del mondo, attiva la plasticità della nostra immaginazione, aiuta i pensieri e le idee ad avere terra. Senza geografia il pensiero si forma su una nuvola, un cloud evanescente. Quanto è grande l’Ucraina? Quanti abitanti ha? Chi abita quel paese, quali popoli lo hanno attraversato? Con chi confina? Con chi confina la Palestina e che cos’è la Cisgiordania?

La geografia costituisce un sapere necessario (basti pensare a quanto sarebbe utile avere una vera conoscenza scolastica sui flussi migratori), ma il presidente dell’Associazione Insegnanti di Geografia, Riccardo Morri, denuncia da qualche anno che oltre il 90% degli studenti universitari presentano lacune gravissime in questa materia.

Papa Francesco parla di “geografia” nella Evangelii Gaudium, quando ha ricordato che “la realtà è superiore all’idea”, e quella raccomandazione è quanto mai urgente oggi a scuola. Se la realtà di cosa sia davvero l’Ucraina resta sconosciuta, è facile che un’idea generica e fatua su ciò che accade prenda il sopravvento. Si arriva così a pensare che le guerre sono tutte uguali, che tutti sono criminali e che non ci sia alcuna differenza tra la Russia che non si fece prendere da Napoleone e la Russia di Putin, che rappresenta solo una porzione di quel popolo e di quella terra, omonima sui libri di storia, ma non di geografia. Ed è facile cadere nell’errore che tra Palestina e Israele ci sia uno scontro tra religioni e culture diverse se non si ha una percezione corretta sull’occupazione di microporzioni di territori. Le ore di geografia sono pochissime, solo tre a settimana nei licei, divise o fuse con la storia, con la preponderanza netta di quest’ultima.

Dopo un’estate del genere sarebbe importante scoprire in classe le grandezze fisiche degli scenari di guerra, la vicinanza/lontananza rispetto al posto in cui si abita e dare un corpo, un nome, una strada ed una piazza principale a tutte le vittime.

Perché i ragazzi “adottino” le notizie, sarebbe importante trasformare le “immagini” sfuggenti sullo schermo in popoli e luoghi con nomi e spazi abitati da non dimenticare. Non deve essere un caso se un uomo di pace come La Pira insisteva sul concetto di “geografia della Grazia” nel riflettere sui luoghi particolari in cui lo Spirito agisce, ed è senz’altro una lezione di geografia quella di Gandhi in cui la Grande Anina fa notare che trecento milioni di indiani disarmati non possono avere paura di centomila inglesi armati. Se i disarmati si contassero sul serio contro gli oppressori di oggi forse la storia cambierebbe ancora. A scuola si riparta dal corpo del mondo più che dalle sue idee.