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Siamo stati attraversati ed attraversiamo tutt’ora la presenza del padre-padrone nella società globale, con donne afghane umiliate, figlie arabe sottoposte a vincoli ridicoli alla loro libertà, siamo ancora colpiti dalla violenza di un padre-orco come Putin che ha addirittura pensato di poter legittimamente rapire 16207 bambini ucraini per “rieducarli” alla cultura russa. Siamo altresì tutti commossi davanti ai padri “pellegrini” ancora costretti a partire su barconi per mettere in salvo le loro famiglie, da guerre e povertà. Siamo solidali a quei tanti padri ucraini costretti ancora a separarsi dalle loro amate e dai loro figli per provare in ogni modo a respingere un’invasione liberticida.

Ma queste due figure del padre-padrone e del padre-eroe, non sono esattamente la quotidianità dell’ecosistema familiare occidentale, dove la rielaborazione complessiva dei legami familiari ha travolto più di tutti il legame della “paternità”, che in fondo è stata sempre stata “liquida”.

Per i romani il “pater familias” era colui che riconosceva i figli nati da una donna “adottandoli”. In questo artifizio giuridico, che serviva a regolamentare i rapporti civilistici e l’appartenenza ai diversi censi del popolo romano, si nasconde una grande verità: la paternità non è mai stato un dato naturale, ma è sempre un gesto culturale. La paternità ha ben poco di “istintivo”, se non quell’istinto di protezione del “possesso” anche degli affetti cari che si attribuisce tanto al padre eroe che lotta per la libertà dei figli che al padre padrone che toglie ogni libertà.

Con l’avvento della psicoanalisi, poi, la figura del padre è divenuta un minuscolo punto dell’universo psichico rispetto alla relazione primordiale con la madre. Tanto che Erikkson, il “padre” della psicologia evolutiva infantile, arriva a dire che il bambino non sa nemmeno dell’esistenza di un papà fino a dodici mesi, e cioè per tutta la durata del primo stadio di vita, quando il bambino apprende la fiducia o la sfiducia nel mondo.

Se questa relazione era dunque già debole, sia storicamente che intrinsecamente, che spazio c’è per un tale “prodotto culturale” nell’epoca delle “passioni tristi” ?

Il dato è che viviamo oggi il paradosso della richiesta forte di paternità. Come fece ben notare il pedagogista Raniero Regni in un suo scritto di venti anni fa: siamo passati in poco tempo dalla protesta sessantottina per il padre onnipresente ed oppressivo alla protesta diametralmente opposta dei millennials contro un padre sempre assente. Quella forma di lamento che Recalcati ha saggiamente definito come “complesso di Telemaco”: quell’attesa, a volte romantica ed a volte nervosa, di un figlio di Ulisse, la cui attesa di rivedere il padre in vita sembra diventare ragione di vita ma anche fonte di disturbi e di involuzione, nonostante la presenza costante della madre.

Oggi viviamo figure totalmente inedite nell’ evoluzione umana: padri che allattano, padri autisti, padri amici, padri che giocano alla play con il loro figli, che guardano gli stessi Marvel o che ascoltano la stessa musica e guardano le stesse serie-tv, padri che condividono non solo lo stesso stadio ma anche gli stessi jeans e le stesse t-shirt. La distanza è assai ravvicinata in queste figure che le società umane precedenti non conoscevano, eppure la paternità non sembra vivere una stagione serena e riconciliata, le tante forme altrettanto inedite dei disturbi adolescenziali, esplosi soprattutto dopo il Covid, quando la presenza dei padri in casa ha forse toccato livelli massimi, sono lì a ricordarcelo.

Le ricerche epidemiologiche ci dicono che in questi ultimi anni sono aumentati quasi tutti i livelli dei disturbi comportamentali dei figli: dall’obesità al gioco d’azzardo, l’uso precoce di alcol e di sostanze, l’organizzazione delle baby-gang, per non parlare dell’inedito più assoluto: la depressione adolescenziale ed i neet, giovani che hanno smesso di cercare.

Evidentemente la presenza non è di per sè una risposta sufficiente. Il paradosso del legame storicamente debole della paternità è che cerca di divenire forte con la presenza ed invece a volte sembra renderla ancora più liquida.

Come se ne esce dal paradosso?

Nessun padre conosce esattamente il punto di equilibrio. Personalmente sono rivolto a due maestri della paternità: Ranier Maria Rilke e mio figlio Antonio. Rilke scriveva così:

Talvolta un uomo si alza da tavola a cena

ed esce e cammina, e continua a camminare,

perchè da qualche parte a oriente sa di una chiesa.

E i suoi figli pregano per lui, come se fosse morto.

E un altro uomo, che muore nella sua casa,

nella sua casa rimane, dentro il tavolo e il bicchiere,

sicchè i suoi figli devono andarsene nel mondo, lontano,

verso quella stessa chiesa, che il padre ha dimenticato.

Il padre di Rilke è colui che, in qualche modo, spinge i figli alla scoperta, al conflitto, alla ricerca dell’inedito, dell’inesplorato. Come? Regolando assenza e presenza per questo fine pedagogico. Il padre di Rilke è un regolatore della giusta distanza, capace di farsi cercare ed al tempo stesso di spingere.

Ma la lezione più grande me la diede mio figlio Antonio, quando a nove anni affrontò un giudice del tribunale dei minori, protestando perché dopo anni di casa famiglia non avevano ancora avuto assegnato “un padre”: “voglio sapere quando potrò chiamare “papà” qualcuno! Io sto crescendo!”, urlò come un piccolo uomo.

Ovviamente non c’ero, ma l’eco di quell’urlo cambiò per sempre l’esistenza mia e di mia moglie. E mi insegna ancora oggi che di padri c’è n’è tanto bisogno, anche imperfetti, anche stupidi, anche distratti, purché sentano su di sè che rispetto a qualcuno che a loro si affidano, loro vestono un ruolo insostituibile, non oppressivo o saturante, ma insostituibile per dare ad un figlio un universo di riferimento nella crescita, fosse anche quello della Marvel o quello della guerra, quello del calcio o della pace mondiale. In quella distanza della ricerca e del conflitto si muove un universo di senso e di simboli a cui i padri non possono sottrarsi nella co-costruzione ed a cui non possono rispondere con la semplice presenza accuditiva sull’ esempio materno.

Buona festa del papà a tutti coloro che ogni giorno si interrogano su questa distanza, anche quando sono dentro la stanza di un figlio.