Oggi, a 14 mesi dall’inizio dell’aggressione russa, nel Palazzo dei Congressi all’Eur, una imponente conferenza bilaterale per la “Ricostruzione in Ucraina”, con oltre 600 imprenditori italiani, 150 imprenditori ucraini e tutto il gotha dei due governi, compresi Meloni e Zelensky. Da un lato la guerra atroce e di trincea tra Kramotorsk, Backmut, Zaporizha, con gruppi di giovani che muoiono a centinaia ogni giorno, dall’altra un esercito di colletti bianchi che parlano di ricostruzione. Ma io in quella affollata sala ho visto solo “affari” non “economia”
Prima ancora dell’invio massiccio delle armi, gli stati occidentali hanno provato a piegare la schiena della Federazione Russa con Sanzioni economiche, rompendo i ponti del libero commercio, almeno quelli, numerosi e floridi, che avevano sopravvissuto alle prime sanzioni conseguenti all’invasione della Crimea. L’economista Bruni, grande anima del pensiero cattolico sociale italiano, subito manifestò il suo profondo disagio: “l’economia dovrebbe essere sempre una relazione di pace, interrompere una relazione economica non dovrebbe essere una punizione”. La riflessione provocatoria ed acuta di Luigino Bruni si basa sulla teoria di fondo dell’economia civile del Genovesi: l’economia non è aggressione o difesa e non dovrebbe essere una sanzione, nella sua identità profonda l’economia è una relazione orientata ad uno scambio costante di premi e virtù tra persone, gruppi o stati, che producono e scambiano vantaggi reciproci.
Cambia lo scenario e a quattordici mesi dall’inizio dell’aggressione, l’Italia convoca nella giornata di oggi, nel Palazzo dei Congressi all’Eur, una imponente conferenza bilaterale per la “Ricostruzione in Ucraina”, con oltre 600 imprenditori italiani, 150 imprenditori ucraini e tutto il gotha dei due governi, compresi Meloni e Zelensky. Il tema è ancora “l’economia”, ma questa volta tutta giocata in positivo. Con una guerra ancora in corso il governo Meloni non vuole perdere tempo ed il governo Zelensky tiene il passo. Non c’è tempo da perdere, “non dovete avere paura” dice a più riprese la Meloni agli imprenditori presenti in aula, bisogna “scommettere ora sul futuro dell’Ucraina”. Si avverte il disagio, sembra di essere all’interno di un film distopico. Da un lato la guerra atroce e di trincea tra Kramotorsk, Backmut, Zaporizha, con gruppi di giovani che muoiono a centinaia ogni giorno, dall’altra un esercito di colletti bianchi che parlano di ricostruzione. Il mio pregiudizio su questo popolo in fermento all’Eur è lì che mi parla, vedo solo “affari” e non economia, non riesco a guardare con serenità a questa aula stracolma che applaude con convinzione al coraggio del popolo ucraino quando il loro presidente finisce di parlare.
“Mentre ancora volano le bombe, è il momento in cui devi acquistare le case” sembra che abbia detto uno dei vati del capitalismo paternalista americano, Rockfeller. Questa frase, che non conoscevo, l’ho imparata a Mykolaiv, l’ha pronunciata un giovane governatore ucraino che mi chiedeva, con questa frase scomposta ma con autentico interesse per la sua terra, di fare qualcosa per le vigne della sua regione, abbandonate e violentate. Mi invitava a comprare la terra per dare nuova speranza ai piccoli contadini che oggi hanno perso tutto. Ma quella citazione non mi piaceva e non riuscivo a prendere in considerazione l’invio.
Oggi quell’invito fatto a bruciapelo non poteva non ronzarmi pesante per la testa. Se l’Economia è cosa buona e se quel governatore mi parlava con il cuore in mano, allora perchè provo disagio ad essere seduto in sala?
La risposta l’ho trovata in un piccolo pamphlet di Kundera “l’Occidente prigioniero”, una riflessione potente sul destino dei paesi invasi dalla Russia sovietica e dimenticati in fretta dall’Europa democratica. “Se vivere significa esistere agli occhi di chi amiamo, l’Europa centrale non esiste più. Più esattamente: agli occhi dell’amata Europa, è solo una parte dell’impero sovietico, e nient’altro”. Come era potuto accadere che l’Europa avesse dimenticato l’Ungheria, la Polonia, la Cecoslovacchia? “L’Europa non ha notato la scomparsa di questo grande crogiolo culturale perchè non sente più la propria unità come unità culturale”, realizza lo scrittore ceco.
Ecco perchè il film era distopico: nell’incontro personale tra me e Vitali Kim c’era una relazione umana scaturita dall’essere lì ed ora presenti in Ucraina, disarmati, a dire che l’Europa libera e democratica è schierata contro ogni aggressione alla libertà dei popoli, nella sua richiesta c’era una relazione economica con me, basta sulla fiducia e sull’incontro personale, sul riconoscimento, sulla condivisione di uno spirito.
Ma se si fa a meno di questo passaggio, può esistere un mercato giusto in tempo di guerra? Se non siamo coinvolti nel processo di pace e nella difesa nonviolenta può l’economia essere un bene di per sè, come scriveva Luigino Bruni? Ho paura di no. Nel migliore dei casi la sala era abitata dallo spirito del capitalismo di Max Weber, in quella capacità di essere bravi nel sacrificare un piacere (denaro) immediato per scommettere su un migliore guadagno in futuro, ma in nessun caso una conferenza che parla solo di economia dalle poltrone comode di un paese non in guerra, può essere “buona” se lo spirito che unisce due popoli, fino a ieri così distanti, si tramuta improvvisamente in incontri bilaterali sui business plan.
Bene che ci sia ascolto, bene che ci sia l’incontro, ottimi anche gli incontri che sono avvenuti dopo la conferenza plenaria, ma perchè una vera relazione di economia civile debba avviarsi tra questi due popoli, che oggi intendono riconoscersi fratelli, serve molto altro, il rischio, che non è poi così tanto nascosto, è che una relazione economica diventi sotto i nostri occhi una relazione meramente speculativa sul modello di Rockfeller. Il rischio è che gli imprenditori non sentano le bombe su di sè, perchè i guadagni arriveranno dopo il 2025, quando tutti si aspettano che la guerra sia finita. Perchè ci sia vera relazione, bisogna andare oggi in Ucraina, disarmati, a dire: noi vi vediamo, siamo con voi, anche con la nostra economia.