Oggi, giovedì, appuntamento davanti all’ambasciata russa a Roma, con associazioni e personalità del mondo accademico. Presenti anche esponenti politici. Moretti (Mean): non temiamo strumentalizzazioni.
«Non c’è vera pace senza verità. Non c’è verità senza libertà». Si intitola così la manifestazione lanciata dal Mean e da altre sigle per stasera, giovedì 13 ottobre, a Roma per dire no alla guerra in Ucraina. L’appuntamento è al sit-in davanti all’ambasciata russa a Castro Pretorio, dalle 18.30. Tra i firmatari dell’appello – cui hanno risposto anche esponenti politici di Pd, Italia Viva, Azione e +Europa – ci sono accademici, economisti, scrittori. Da Mauro Magatti e Leonardo Becchetti a Sandro Veronesi e Luigi Manconi, passando per Riccardo Bonacina ed Ernesto Preziosi, in piazza ci sarà un mondo variegato, che riunisce esponenti del mondo laico e del mondo cattolico. Ma quale sarà la piattaforma intorno a cui ci si ritroverà? Si parte dal «cessate il fuoco» e dal «ritiro immediato delle truppe russe dal territorio ucraino», con l’obiettivo di fermare l’escalation nucleare, e si arriva alla richiesta di «negoziati che garantiscano una pace giusta e duratura». Importante sembra essere il sostegno dato ai dissidenti russi, uno degli aspetti che paiono più trascurati nel dibattito pubblico, e che pure è centrale. «Dobbiamo riconoscere la libertà di parola e di obiezione di coscienza ai giovani russi» dice il fronte del le associazioni aderenti. Di più, «bisogna sostenere ed accogliere i cittadini russi che protestano contro l’aggressione e sfuggono alla coscrizione». E se, dal punto di vista dell’assetto postbellico i proponenti si spingono a chiedere la piena indipendenza dell’Ucraina, è certamente importante e carico di significato il traguardo indicato sul versante della diplomazia. «Vogliamo insediare una Commissione internazionale di Verità e Riconciliazione sull’accertamento dei fatti avvenuti in Donbass, Crimea, Ossezia del Sud, Trasnistria ed Abkazia», cooperando al disarmo delle zone interessate dal conflitto. Sullo sfondo, c’è il ruolo di rinnovata centralità pensato per l’Europa, nella cui cornice si inserisce l’iniziativa.(D.M.)
Sarà il mese delle mobilitazioni di piazza. Oggi il sit-in lanciato dal Mean, il Movimento europeo di azione nonviolenta assieme ad altre sigle. Poi il fine settimana dal 21 al 23 ottobre nelle 100 piazze di Europe for peace,animate dalle oltre 80 organizzazioni della Rete italiana pace e disarmo. Che a metà novembre organizzerà la grande manifestazione nazionale a Roma. Uno sforzo che il variegato movimento per la pace affronta anche per sfruttare il momento, con lo spiraglio aperto dalla disponibilità di Turchia, Cina e della stessa Russia in vista del G20. La piattaforma della manifestazione di questa sera, spiega il portavoce del Mean Angelo Moretti, chiede il ritiro delle truppe e lo stop all’escalation, una commissione internazionale di verità e riconciliazione, la libertà di parola ai dissidenti russi, la cooperazione al disarmo.
Sono queste le richieste che, come realtà della società civile, fate alla politica?
Alla politica chiediamo di assolvere al suo ruolo di mediazione, non solo di foraggiare la guerra. Ma pensiamo che la società civile debba fare il suo passo, mettendo al centro le pratiche collettive di nonviolenza attiva. Non sappiamo come andranno a finire i dialoghi tra i potenti, speriamo che queste fessure si aprano con decisione. Nel frattempo però non possiamo stare a guardare. La differenza tra questa guerra e le altre è la nostra prossimità fisica, che ci impegna politicamente nella nostra cittadinanza attiva. Nessuno ci impedisce oggi di fare nonviolenza attiva e di massa in Ucraina, per chiedere che tacciano le armi e che si fermino i bombardamenti. Ghandi diceva che non basta la nonviolenza, serve investire sul Sathiagraha, la forza della verità che riesce a disarmare i potenti. Non è un fatto romantico, spirituale o religioso. Lo abbiamo visto quando siamo stati in Ucraina. Inizialmente ci guardavano con diffidenza, la nonviolenza faceva pensare loro a una resa. Non è affatto così. È una forma di resistenza anche più importante di quella armata. La nonviolenza attiva è inedita nella storia d’Europa, che è figlia della violenza della Rivoluzione francese. Non serve dare consigli agli ucraini che stanno sotto le bombe. Tutte e tre le volte che siamo stati in Ucraina ci hanno accolto, anche senza aiuti umanitari, perché eravamo accanto a loro, a discutere di cosa fare per la pace.
Le missioni dei pacifisti in Ucraina quelle del Mean come le quattro Carovane della pace del cartello “Stop the war now” con generi di prima necessità – non potevano essere manifestazioni di massa, visto il teatro di guerra. Il ruolo della società civile, quindi, deve essere di presenza accanto agli ucraini?
Sì assolutamente. È una scelta tra le due imprudenze. Quella di restare qui a guardare impotenti, sperando che qualcuno apra un corridoio umanitario e diplomatico. E poi c’è l’imprudenza che abbiamo commesso noi per aprire uno spazio diplomatico. L’ho visto accadere concretamente: parlare di azione nonviolenta e di resistenza disarmata significa preparare il terreno per la diplomazia, che non può arrivare dall’alto. Gli accordi che non funzionano, come Minsk, è perché sono stati fatti senza coinvolgere chi abita in quei confini. Gli accordi sulla carta servono a far tacere le armi , non a evitare che si arrivi agli eventi della Striscia di Gaza, al Tigrai, al Kashmere. Guerre sbagliate che hanno prodotto guerre endemiche. Le sfere di influenza torneranno a pesare. Non esiste una soluzione, ma un percorso di soluzioni.
Dunque la società civile, lei dice, deve agire indipendentemente dalla politica. Ma al sit in fioccano adesioni di partiti – Pd, Iv, Azione, +Europa – fra l’altro tutti sostenitori dell’invio di armi. Non c’è il rischio di strumentalizzazioni?
Perché, la Cina e la Turchia stanno muovendosi per umanità, o per una strategia geopolitica? Parliamo di un momento epocale in cui dobbiamo contarci ed essere di più. A me poco interessa chi prova, anche in modo artefatto, a metterci il cappello. È evidente che è una manifestazione della società civile, ma non bisogna disprezzare la politica che si muove. Conte, Letta, Draghi, Meloni, chiunque voglia fare politica della pace è benvenuto. La piazza è aperta. Il problema è che saremo sempre pochi finché non ci muoviamo. Non penso che la società civile sia più avanti. Quando sono stato in Ucraina mi hanno detto che ringraziavano l’Europa per l’invio di armi. Dobbiamo essere umili. Tra un pezzo di pane e uno scudo antimissili gli ucraini scelgono il secondo. Non possiamo insegnargli come difendersi. Abbiamo deciso di non occuparci della resistenza armata . Il nostro ragionamento è differente, noi diciamo che la nonviolenza moltiplica le opzioni, aumenta gli scenari, considera nuove possibilità di trovare vie di dialogo. Siamo andati non per giudicare la resistenza armata e chi la sostiene, ma per dire che non basterà mai, non sarà quella la soluzione per la pace. Il sindaco di Kiev ci ha ringraziato per essere presenti con i nostri corpi anche se la città non poteva proteggerci. Questo aumenta l’ascolto reciproco. Se non avesse avuto gli aiuti europei, l’Ucraina sarebbe già capitolata. Ma questa è una scelta che compete agli ucraini e ai governi. Noi della società civile abbiamo un altro ruolo, dobbiamo preparare il terreno per la diplomazia.
Il Mean intende partecipare alle moblitazioni di fine ottobre nelle 100 piazze? E alla manifestazione nazionale di novembre a Roma indetta da moltissime sigle dell’associazionismo?
Sì, certo. Il nostro sit in nasce perché, visti i bombardamenti del 10 ottobre, abbiamo deciso di agire, perché troppi distinguo non fanno bene alla pace. Non c’è pace senza verità. La pace totale non esiste, ma si può dire la verità, cioè che ci sono bombardamenti sulle città ucraine e sui parchi-gioco e che il ministero della Difesa russo ha detto: “abbiamo centrato tutti gli obiettivi“. Abbiamo ritenuto opportuno convocare questo sit-in perché bisogna pur dire qualcosa all’ambasciatore russo. Noi non ci stiamo. I mille distinguo saranno utili per capire come uscire dalle impassegeopolitiche create dalla Nato o dalla Russia. Ma non possiamo nemmeno tacere su queste aggressioni contro bambini, donne, famiglie.
Tutto il movimento per la pace ha sempre condannato le violenze russe contro i civili.
Non parlo della società civile. Noi aderiamo alle altre piattaforme, così come al sitin davanti all’ambasciata russa abbiamo invitato tutti, per dire no a quello che è successo il 10 ottobre e a quello sta succedendo dal 24 febbraio.