di Leonardo Becchetti e Angelo Moretti. Esistono due tipi e modelli di creazione di valore, uno predatorio ed estrattivo e uno invece in grado di valorizzare e dare dignità a persone e luoghi. Il primo produce fiammate di valore economico che però spesso prendono la via di paradisi fiscali, sono distribuite in modo ineguale tra i portatori d’interesse andando prevalentemente ai grandi azionisti. In questo primo modello il valore è sempre a rischio di essere bruciato nelle crisi finanziarie (la storia del Monte dei Paschi di Siena ne è un doloroso esempio).
Il secondo modello è in grado di produrre valore resiliente che permane nei territori e nel tempo e rafforza i legami comunitari che sono la base fondamentale per la creazione di valore futuro mentre il valore attuale viene generato. La storia del nostro credito cooperativo dove il patrimonio della banca resta a riserva indivisa per le future generazioni e i fondi raccolti finanziano in grandissima parte investimenti sul territorio è un bell’esempio di questo approccio. Si tratta, se vogliamo fare riferimento ad alcune suggestioni, di quello di cui parla Jeremy Rifkin a proposito dell’«era della resilienza» e dell’idea di «economia vegetale», dove l’organizzazione sociale prende ispirazione dalla capacità delle piante di rispondere agli choc mettendo in comune risorse, non avendo la possibilità di muoversi o di delocalizzare. Noi esseri umani possiamo “votare con i piedi”, migrare o delocalizzare, ma nella risposta alle sfide globali del pianeta siamo esattamente come il mondo vegetale perché non abbiamo altri pianeti abitabili che ci offrono opzioni alternative. Se vogliamo combattere i mali dei nostri tempi come le crescenti diseguaglianze, l’impoverimento e lo spopolamento dei territori e delle aree interne, la mancanza di sostenibilità sociale e ambientale dobbiamo senza dubbio scegliere la seconda opzione, quella comunitaria.
Le frontiere su cui la partita tra i due modelli si gioca sono numerose. La prima è proprio la dimensione finanziaria dove l’attacco al modello delle banche popolari e di credito cooperativo è stato in qualche modo arginato dalla riforma del credito cooperativo che è riuscita a preservare qui in Italia almeno quel modello. La seconda è quella dell’energia dove il modello delle “comunità energetiche” significa produzione di energia diffusa e distribuita sul territorio che crea una comunità di prosumers (oggi più di un milione e mezzo di italiani forniscono energia alla rete) che può generare capitale sociale (dipenderà da organizzazione e governance delle comunità) e “destrategicizza” l’energia perché se nella storia si sono fatte molte guerre per le fonti fossili nessuno combatterà mai per conquistare il pannello fotovoltaico del vicino di casa.
Una terza partita importante è quella del tema dell’acqua, la cui gestione rappresenta una sfida essenziale in un Paese come il nostro ricco d’acqua dove quasi la metà dell’oro blu viene ancora perduta per il dissesto della rete di acquedotti. Nell’era della transizione ecologica in cui già oggi in molte aree del mondo l’acqua è risorsa scarsa le precipitazioni sono destinate a concentrarsi nello spazio e nel tempo (le cosiddette “bombe d’acqua”) richiedendo pertanto non solo l’ammodernamento degli acquedotti ma anche l’investimento in un sistema d’invasi in grado di favorirne l’accumulazione e la gestione nelle condizioni mutate.
La governance dell’acqua sarà pertanto fondamentale nei prossimi anni. C’è da domandarsi da questo punto di vista perché metropoli europee come Parigi e Berlino siano tornate al modello dell’acqua pubblica. Gli economisti insegnano che affidare la concessione di un monopolio naturale come quello della gestione dell’acqua a un soggetto privato teso alla massimizzazione del profitto può funzionare solo se il regolatore è forte e riesce a imporre un tasso di profitto controllato e programmato, dettando al concessionario un programma di investimenti nell’infrastruttura. La storia dei nostri giorni, purtroppo, ci parla troppo spesso invece di “cattura dei regolatori” e le vicende di grandi concessioni come quelle di Autostrade o dell’azzardo insegnano. La gestione pubblica non è a sua volta esente da problemi perché c’è sempre il rischio che sia subordinata alle finalità di politici che hanno come obiettivo quello di restare in carica ed essere rieletti. Per questo per loro distribuire risorse finanziarie in modo più facilmente visibile da parte degli elettori può essere meglio che investirle nell’infrastruttura idrica dove i benefici a breve della scelta sono meno visibili e monetizzabili elettoralmente.
Per tale motivo vale la pena riflettere su una terza possibilità di gestione civica dove associazioni di utenti che ricevono in concessione l’infrastruttura la gestiscono direttamente nell’interesse di quelli che sono i principali portatori d’interesse (i cittadini, appunto). La storia insegna che la via civica può essere la soluzione migliore quando il rapporto tra rappresentanti e rappresentati funziona bene, ovvero in presenza di limiti di mandato per le cariche direttive, di assemblee dove la partecipazione dei soci è effettiva direttamente o tramite deleghe.
Il Pnrr impone agli ambiti ottimali idrici di individuare obbligatoriamente un gestore unico dei servizi idrici integrati (dalla captazione alla distribuzione e depurazione) entro l’8 febbraio 2023, ma questo termine non potrà essere ragionevolmente rispettato per quegli ambiti che sono nati per la prima volta solo a ottobre di quest’anno, come ad esempio quello del Sannio. Il governo italiano dovrebbe piuttosto auspicare che in tutti i territori si svolgano assemblee pubbliche in cui i Consigli comunali, in ascolto dei cittadini, decidano il modello gestionale maggiormente partecipato, efficace e trasparente, non solo tra le forme tradizionalmente dicotomiche “del tutto pubblico”’ o “del pubblico-privato”, ma anche delle co-governance cooperative tra enti pubblici e cooperative di prosumers.
Un percorso di questo tipo è stato avviato a Benevento dove la governance della gestione dell’acqua è messa pubblicamente in discussione e dove la società civile si domanda quale possa essere la soluzione migliore possibile. Tutto questo può rappresentare un laboratorio interessante per il nostro Paese.
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