Nella sfida all’Ok Corral tra il dittatore Putin e Biden, l’anziano capo delle forze armate americane l’Europa è assente. Il leader americano chiama a sé i nove paesi che maggiormente esprimono lontananza dai valori europei della tolleranza e della democrazia partecipata, il gruppo di Visegrad, e alle sue spalle sventolano tre bandiere: quella americana, quella polacca e quella ucraina, non c’è posto per quella europea. Una volta di più il Mean propone una marcia di europei in Ucraina
Senza tanti giri di parole conviene dirci con franchezza che l’orizzonte europeo non è mai stato così cupo dagli albori del nazifascismo ad oggi. E che abbiamo sbagliato quasi tutto. Putin, l’ex alleato delle potenze mondiali di occidente, ha parlato ad una assemblea nazionale composta visivamente da proseliti inebetiti da una dittatura in stato di avanzamento istituzionale. Il cuore del suo discorso eravamo noi, “noi occidentali”, gente pericolosa, barbari che cercano di sfondare le porte della sacra Russia con lo scopo di voler annunciare il verbo del relativismo etico e sessuale.
La Zar Vladimir (quell’uomo che a Berlusconi aveva regalato il famoso “lettone” per notori scopi morali), ha testualmente detto che la Russia non può lasciare che vincano coloro che “stanno per legalizzare la pedofilia” e “costringere i ministri di Dio a celebrare matrimoni omosessuali”. Nel suo discorso alla nazione manca davvero poco alla retorica usata dal giovane Hitler per infiammare le folle contro gli ebrei infingardi, additati come la causa dello stato di povertà degli ariani e del degrado dei costumi. La Russia, dopo trent’anni di democrazia formale, ha un pil pro capite corrispondente alla metà del paese più povero di Europa, il Portogallo, con 12 mila dollari per abitante, ed offre una speranza media di vita di 70 anni, a fronte degli 81 dell’UE. Non ha costruito in tempo di pace un’economia pubblica degna di questo nome, diventando nel contempo, in gran velocità, leader mondiale del grano, del gas, del cybermondo, delle conquiste spaziali e della finanza, ma arricchendo pochi ed impoverendo i Paesi della Federazione da cui rapina ogni ricchezza impoverendo le masse. Ed ora l’ex agente del KGB intende presentare il conto di questo fallimento progressivo a “loro”, cioè a noi, noi che siamo interessati ad accaparrarci il sacro suolo della madre Russia per farci sopra un’orgia.
A 1406 chilometri da Mosca, a Varsavia, non c’era un Kennedy affacciato sul muro di Berlino ovest a parlare agli Europei di una nuova frontiera comune, in cui tutte le nazioni forti hanno la responsabilità di aiutare i paesi in via di sviluppo. Da Biden, l’anziano capo delle forze armate americane, è arrivata una forte incitazione alla vittoria e la certezza che la Russia non potrà vincere questa guerra. Biden ha affermato che ora le democrazie sono “più forti” perché si sono rinite nello scopo di difendere la democrazia e la sovranità ucraina. Ma nel suo discorso all’occidente il presidente americano sembra dimenticare completamente il mondo attorno, quel mondo sempre presente nelle parole di JFK. Non c’è l’Africa, non c’è l’Asia, ci sono solo le “democrazie”, cioè poco più del 6% della popolazione mondiale. E nel frattempo il leader americano chiama a sé i nove paesi che maggiormente esprimono lontananza dai valori europei della tolleranza e della democrazia partecipata, il gruppo di Visegrad, ed alle spalle del suo palco sventolano tre bandiere: quella americana, quella polacca e quella ucraina, non c’è posto per le 12 stelle sullo sfondo azzurro.
Nel frattempo, alla Cina invece non sfugge affatto che il “Sud Globale”, dove le democrazie e le libertà individuali non brillano proprio dappertutto, è più vicino alle sirene russe contro il degrado morale dell’occidente che a quelle americane sula difesa della democrazia, con il Sudan, l’Egitto, l’Algeria, il Sud Africa, il Mali, la Repubblica Centro Africana, il Burkina Faso, l’Egitto, Algeria, che hanno dichiarato vicinanza esplicita o implicita alla guerra di Putin e l’Iran che non fa mancare il suo appoggio.
In questo scenario ci siamo arrivati lentamente, dal 2007, quando per la prima volta la federazione Russa ha invaso un paese vicino, l’Abkhazia, interrompendo i tanti tavoli di lavoro in comune con la Nato ( il più famoso era il PFP, partnership for peace) , e velocemente, dalla collaborazione dei medici russi sul territorio italiano per contrastare la pandemia, agli accordi di Roma sulla nuova Via della Seta, tra il premier Conte e Xi Ping, alla giornata di ieri sembra passato un secolo.
La domanda di tradizione leninista torna sempre, per chi non perde la speranza: che fare? Aspettiamo immobili che l’Ucraina vinca grazie alle nostre armi? Aspettiamo che Putin smetta di occupare l’Ucraina e costruisca una nuova cortina di ferro? Ci prepariamo alla guerra nucleare?
Dopo un anno e centinaia di migliaia di morti in più dell’anno scorso, la via della diplomazia ci sembra solo peggiorata da tutti i punti di vista. Le alleanze sembrano bipolari Nato da una parte e Russia e Cina dall’altro, il Sud si sta schierando e non per l’Ucraina. La mediazione della Turchia, già poco credibile dopo gli accordi di Astana e le persecuzioni politiche, è stata messa fuori gioco da una catastrofe naturale. L’Inghilterra è come negli anni quaranta un player a sé.
Manca solo un attore in campo. Ha una bandiera blu, ha dodici stelle in cerchio, uno sfondo azzurro, non ha un esercito, ma ha la migliore democrazia del pianeta ed il miglior welfare, secondo tutti i dossier mondiali. È nata per costruire un futuro di pace in un continente sempre in guerra e ci è riuscita. Ma non parlo delle istituzioni, parlo dei popoli che la compongono. Se ora non entrano in azione i popoli europei uniti per una inedita azione di pace, non avremo più tempo per farlo domani, anche se l’Ucraina dovesse vincere con i nostri Leopard, avremo perso noi, perché manca lo spirito. Gli ucraini che abbiamo incontrato nelle missioni del MEAN, sono pervasi da vero spirito europeista, credono nella libertà e nella democrazia, lottano perché giusto farlo, si ispirano alla nostra resistenza. L’ Europa dei popoli che sta a guardare potrebbe avere nulla da festeggiare domani, sia che si vinca sia che si perda. Per il Sud siamo o una frontiera chiusa o affaristi che scroccano un accordo last minute per le fonti fossili di fronte ai rubinetti chiusi della Russia ( e domani prenderemo in Africa il litio delle nostre batterie elettriche), per l’est siamo o clienti o nemici, per l’ovest siamo solo dei protetti.
O ci svegliamo ora e ci uniamo allo spirito degli ucraini, non alla loro forza militare, ma al sogno di libertà che interpretano, proteggendoli con la nostra diplomazia e la nostra forza nonviolenta, oppure saremo stati degli ignavi. Il Movimento Europeo di Azione Nonviolenta, dopo aver assistito in presa diretta all’entusiasmo con cui gli uomini della città di Brovary stanno costruendo il loro “Peace Village” , il progetto di rifugio climatico progettato da Mario Cucinella, nonostante il continuo squillare delle sirene antiaereo, è sempre più convinto della sua proposta iniziale: andiamo tutte e tutti in Ucraina, non lasciamoli soli, non lasciamoli solo alle armi, non lasciamo che il mondo ci guardi solo come una forza militare, come una corporazione di stati ricchi, ma soprattutto come una forza ideale e spirituale.
Viene da parafrasare senza enfasi, ma il momento è davvero storico, che in Ucraina o si fa l’Europa o muore l’europeismo.
Foto di apertura tratta da un servizio della tv Russa